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La serie Adolescence, uscita su Netflix a marzo, ha raccolto oltre 66 milioni di visualizzazioni in due settimane, diventando la miniserie più vista della piattaforma. La trama ruota intorno all’arresto di un tredicenne accusato di aver ucciso una coetanea. Ma oltre alla storia, è il contesto a innescare il dibattito: la serie lascia intendere un possibile processo di radicalizzazione online del ragazzo, con riferimenti diretti alla cosiddetta “manosfera”.

Nella narrazione compaiono simboli legati alla cultura incel (acronimo di “involuntary celibates”, celibi involontari, comunità online che esprimono frustrazione sessuale con toni misogini), e influencer come Andrew Tate, noto per la diffusione di messaggi sessisti e violenti. La manosfera è un insieme di spazi digitali in cui alcuni uomini condividono contenuti antifemministi e che, in molti casi, alimentano dinamiche di odio nei confronti delle donne.

Dalla BBC a Rolling Stone, da Harper’s Bazaar a social come Reddit, la serie è diventata oggetto di discussione globale. Il premier britannico ha appoggiato l’idea di proiettarla gratuitamente nelle scuole, mentre in Australia si moltiplicano le richieste di vietare gli smartphone in classe. Ma la reazione collettiva va oltre la fiction: come spiegano le studiose Alexandra James (La Trobe University), Andrea Waling (Lancaster University) e Lily Moor (La Trobe University), rivela un insieme di paure culturali ben radicate.

Adolescence e il panico morale

James, Waling e Moor analizzano su The Conversation le reazioni pubbliche ad Adolescence come un’espressione di ansie sociali più ampie: la sessualità maschile, la crescita dei ragazzi, e il loro rapporto con il digitale. La risposta mediatica e politica si concentra sui divieti e sulle restrizioni: meno internet, meno social, più controlli. Ma secondo le autrici si tratta di un meccanismo ricorrente, quello del “panico morale”, già visto in passato con altri fenomeni giovanili.

Un esempio recente è il divieto australiano ai social media per gli under 16, pensato per proteggere i giovani da contenuti sessuali, ruoli di genere dannosi e piattaforme come TikTok e Instagram. Ma questa misura arriva in risposta a un aumento dei femminicidi. Un collegamento poco diretto, che sposta il problema sulla tecnologia, evitando di affrontare la questione della violenza maschile.

Ragazzi esclusi dal confronto

Adolescence, un’adolescente con il cellulare al buio Secondo le tre studiose, questo approccio ignora le reali competenze dei ragazzi e li esclude da discussioni cruciali su sessualità e relazioni. Le ricerche condotte da James, Waling e Moor mostrano che i ragazzi interagiscono con i contenuti online in modo attivo e riflessivo. Confrontano fonti, valutano la credibilità, cercano spazi per capire meglio sé stessi e le relazioni.

Ma le politiche educative e culturali tendono a trattare i ragazzi cisgender ed eterosessuali come un problema da correggere. Non vengono inclusi in conversazioni empatiche, ma semplicemente ammoniti. Quando la pornografia viene demonizzata, si chiude ogni possibilità di discussione. I ragazzi, spesso incapaci o timorosi di fare domande, restano soli. Questo vuoto è riempito da figure come Andrew Tate, che propone modelli di mascolinità violenta, attraendo milioni di follower su X (ex Twitter).

L’educazione come risposta

Per le ricercatrici, vietare i social media non risolve nulla. Serve un’educazione più coraggiosa, capace di includere i ragazzi e di fornire loro strumenti critici per affrontare i contenuti che incontrano online. Questo significa investire su chi educa, chiarire chi deve occuparsi di questi temi (genitori, insegnanti, istituzioni) e smettere di credere che il problema parta dai giovani.

James, Waling e Moor sottolineano che molti adolescenti ricevono un’educazione sessuale inadeguata, se non assente, sia da parte della famiglia che della scuola. Le piattaforme digitali diventano così l’unico luogo dove informarsi, sperimentare e capire. Ma senza accompagnamento, il rischio è che prevalgano messaggi semplificati, distorti, o violenti.

Adolescence, le conclusioni

La serie Adolescence non spiega il mondo digitale ai ragazzi. Sono loro, già oggi, a muoversi in quel mondo con più consapevolezza di quanto si pensi. Ma senza una guida, i rischi aumentano. Per questo, secondo le studiose, serve una nuova attenzione educativa. Non punire, ma formare. Non temere, ma ascoltare.

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