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I cibi ultra-processati possono attivare gli stessi circuiti cerebrali coinvolti nella dipendenza da sostanze come alcol e cocaina. La conferma arriva da uno studio pubblicato su Nature Medicine e condotto da un team di ricercatori dell’Università del Michigan. Gli autori hanno esaminato 281 studi condotti in 36 Paesi, arrivando alla conclusione che questi alimenti possono generare comportamenti che rispettano i criteri clinici per la diagnosi di disturbo da uso di sostanze. L’effetto principale è l’attivazione del sistema di ricompensa del cervello attraverso il rilascio di dopamina. Questo meccanismo provoca desiderio persistente, perdita di controllo e consumo compulsivo.

Secondo Ashley Gearhardt, professore di psicologia all’Università del Michigan e autore principale dello studio, «le persone non stanno diventando dipendenti dalle mele o dal riso integrale. Stanno lottando contro prodotti industriali specificamente progettati per colpire il cervello come una droga: in modo rapido, intenso e ripetuto». Tra i prodotti coinvolti ci sono alimenti confezionati industrialmente come dolci, patatine, cereali per la colazione e piatti pronti. Le immagini cerebrali acquisite tramite studi di neuroimaging mostrano che chi consuma questi cibi in modo compulsivo presenta alterazioni nei circuiti cerebrali analoghe a quelle di chi soffre di dipendenza da alcol e cocaina.

Erica LaFata, professoressa associata di ricerca presso il Center for Weight, Eating, and Lifestyle Science della Drexel University, ha sottolineato che in altri casi, l’asticella per riconoscere la dipendenza è stata molto più bassa, richiamando all’urgenza di considerare questa forma di dipendenza come condizione clinica a sé stante. I ricercatori raccomandano l’adozione di misure da parte dei decisori politici, dei medici e delle autorità sanitarie per affrontare questo problema crescente.

La food addiction colpisce il 16% della popolazione: i sintomi vanno dal desiderio alla perdita di controllo

Il fenomeno della food addiction riguarda una parte significativa della popolazione. Stefano Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista, in un’intervista al Corriere della Sera riporta una stima di circa il 16% delle persone che sviluppa una dipendenza da cibi ultra-processati. Un precedente sondaggio condotto dall’Università del Michigan su un campione di adulti statunitensi tra i 50 e gli 80 anni, nell’ambito di un’indagine sull’invecchiamento sano, aveva già rilevato che il 13% degli intervistati non riusciva a smettere di mangiare cibi industriali nonostante il desiderio di farlo.

I sintomi riportati erano voglie intense, tentativi ripetuti e falliti di ridurre il consumo e manifestazioni di astinenza, tra cui irritabilità, mal di testa e difficoltà di concentrazione. Da un punto di vista nutrizionale, spiega Erzegovesi, gli alimenti che più frequentemente provocano dipendenza sono quelli con elevate concentrazioni di sale, zucchero e grassi, spesso presenti in combinazione. Questo vale sia per i cibi dolci che per quelli salati. Il problema si aggrava se si considera che questi prodotti vengono spesso progettati per massimizzare l’effetto sul cervello, rendendo il consumo ripetuto e difficilmente controllabile. La questione riguarda in modo particolare i bambini, che nei Paesi sviluppati sono già colpiti in misura crescente da sovrappeso e obesità.

Come gestire i cibi ultra-processati: consumo occasionale, consapevolezza e preparazione casalinga

Alcune strategie possono contenere il consumo di cibi ultra-processati. Secondo Erzegovesi non è necessario evitarli completamente, ma è fondamentale ridurne la frequenza e consumarli lentamente. Questo consente di riconoscerne l’effetto stucchevole e sviluppare consapevolezza. Un approccio basato su divieti rigidi può infatti produrre l’effetto contrario e portare a episodi di abbuffate.

La raccomandazione è seguire le indicazioni della piramide alimentare della dieta mediterranea, che prevede un consumo molto occasionale di prodotti trasformati. È preferibile preparare in casa gli alimenti che solitamente si acquistano in forma industriale, come dolci o patatine, scegliendo e dosando personalmente gli ingredienti. La preparazione domestica consente maggiore controllo e può contribuire a rieducare il palato.

Per chi vive una condizione di dipendenza da cibo è importante non confondere questa condizione con un vizio. Secondo Erzegovesi in molti casi è necessario l’intervento di un’equipe specializzata nei disturbi alimentari, che comprenda medico, nutrizionista e psicologo. L’obiettivo non è il giudizio, ma il trattamento efficace di una possibile patologia.

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